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"dalla ferocità di leros ad oggi"

PER DARE UN NOME E UNA DIGNITA' CHE IN PASSATO NON C'ERANO


Leros l’isola degli internati
Leros, con gli 2000 sguardi che ti spogliano anima e corpo; ferite che guariscono solo se smetti di sentirti in colpa per la loro esistenza.
Leros, l’isola con le caserme italiane, ha ospitato molti internati, da diverse provenienze; figli di quelli che avevano perso la guerra civile, combattenti della resistenza, e dal 1958, i “pazzi”, quelli che nessuno cercava, gli esiliati da tutti gli ospedali psichiatrici del paese.
Per anni , intorno a queste persone esiliate, il silenzio. Il disinteresse totale della comunità scientifica.
Negli anni ’60-’70 chi parlava di Leros nei circuiti Psichiatrici, si confrontava con la maggioranza che rimaneva ostinatamente sorda, forse perché si riconosceva il “perfetto capolavoro della psichiatria istituzionale” come ha descritto giustamente Franco Rotelli (tutta la situazione rimandava ai lager, o come diceva Franco Basaglia ai crimini in tempo della pace).
Alcuni abbiamo creduto che potevamo cambiare il destino di queste persone, abbiamo dovuto invadere violentemente, tante volte clandestinamente in questo silenzio.
Chi di noi ha visto quelli occhi si innamorato e odiato nello stesso momento
Ci siamo innamorati degli occhi di quelle persone e nello stesso momento abbiamo odiato l’apparato istituzionale.
Ci siamo incontrati tanti, soprattutto giovani in questo viaggio, con diverse esperienze, culture, lingue. Primo obbiettivo rompere il silenzio. Come sogno comune di tutti noi, la prospettiva di cambiare l’apparato istituzionale.
La fotografia è stato uno strumento importante, per far conoscere Leros, sia come mezzo di denuncia, sia come pressione e leva per il suo cambiamento.
Antonella e il suo obbiettivo fotografico faceva parte di questo tentativo. Ha annunciato la sua presenza apertamente, non è entrata clandestinamente ed era pronta di assumere le conseguenze della sua invasione. Ha rispettato e affrontato con molta attenzione tutti quelli che non volevano la comunicazione.
Nelle prime foto gli internati di Leros non si sono difesi dal obbiettivo della macchina fotografica, non hanno cercato di abbellire la loro immagine.
Antonella ha una confidenza con la malattia mentale, soprattutto con la situazione di Leros, credo perché si è innamorata anche lei di questi sguardi.
Ha scelto, con la sua macchina fotografica, di urlare contro alla istituzionalizzazione, all’ internamento, all’ abbandono. Ha cercato di mostrare come “persone” loro che senza nome rimanevano invisibili, nella malattia e nel abbandono, agli occhi di molti.
É entrata nella porta di “Ade” con gli occhi aperti.
Dopo 21 anni di silenzio torna di nuovo con gli stessi occhi, imprevedibile come l’ hanno denominata, ancora innamorata e carica sempre no di odio ma di amore, per guardare di nuovo, per vendicarsi per quello che ha sognato di cambiare con il suo primo lavoro.
Questo suo sguardo può mantenere tutti noi svegli, soprattutto questo periodo.
Per resistere a ciò che appiattisce la dignità umana e ciò che limita i diritti umani.
Γιάννης Π. Λουκάς

Dott. Iannis Lucas

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